Milano – Giuseppe Maj editore – 1986



GALERA

Là, dov’era più umido
fecero un fosso enorme
e nella roccia scavarono
nicchie e le sbarrarono

alzarono poi garitte e torrioni
e ci misero dei soldati, a guardia

ci fecero indossare la casacca
e ci chiamarono delinquenti

infine
vollero sbarrare il cielo

non ci riuscirono del tutto

altissimi
guardiamo i gabbiani che volano.

Favignana 1 giugno 1973



APPUNTAMENTO AL CARCERE

Con gli ultimi spiccioli
avevo comperato
un piatto di carne fredda
un limone
una bottiglia di vino rosso
un pacchetto di sigarette
una cartolina illustrata
e una rosa.

Tutto era pronto amore mio
e tu non sei venuta.

Procida 28 luglio 1972


I NUMERI

Ti ho scritto stamane
la duecentoquarantacinquesima
lettera del millenovecentottantatre.

È il mio bilancio per l’anno che passa.

Tu, nel millenovecentottantatre,
alla prigione sei venuta ventiquattro volte
(non ti hanno permesso di più…)
e,
per ventiquattro volte,
hai percorso duemila chilometri.

Duemila per ventiquattro
fanno: quarantottomila chilometri.

Non dimenticare. Non dimentico.

Neppure una volta ti hanno permesso
di portarmi del cibo, un libro o un fiore.

Quarantottomila tormentati chilometri
(non dimenticare, non dimentico)
e poi una lastra di vetro
e lampi di ferocia, a dividerci.

Ma tutto questo non ha impedito
che crescesse ancora l’amore
che mi porti, che ti porto, compagna.

Palmi 30 dicembre 1983


IL PRIMO INCONTRO

Fu il tremore
delle mani tue 
a convincermi
alla tenerezza.

Petalo a petalo…
e il pudore
ebbe luminosità
tutte diverse.

Adesso,
all’esistenza mia,
essenziale
è il respiro tuo…

Fossombrone giugno 1977



L’ULTIMA ESTATE

Lungo il crinale
Ombre sul muro

Nell’abisso
Impronte d’acqua

Dopo il fiume:
Il mare

La risacca

Gabbiani
Conchiglie spezzate

Piedi nudi
Alla deriva

L’immagine tua
L’immagine mia

Volterra 18 ottobre 1970



IL PITTORE

Ho perso tutta la mattinata
a scrostare il cielo.

Sai amore
ho pasticciato tutta la notte
con le stelle, nel tentativo
d’abbozzare il tuo sorriso.

S. Vittore 19 giugno 1971



L’ULTIMO PROGETTO

Sulla montagna
risalendo il fiume,
alla sorgente
mi sono smarrito

Tutta la notte – urlando –
mi sono cercato

E poi
sotto il sasso
ho nascosto
l’ultimo mio progetto
e
un pugno di coriandoli.
Quelli dell’ultimo carnevale.

S. Vittore 3 luglio 1971



LA PIOGGIA

Tu mi senti
mi guardi
non stupirti
donna
ho mutilato
il pianto
l’anima
la pena
distruggendo
l’arcobaleno
ho scatenato
la pioggia
che ci bagna.

Procida 23 agosto 1972



AUTORITRATTO

Un fiume
lungo come il tempo
ha scavato il volto mio

chiazze di bianco
nei capelli
e la barba
ha mille colori

poi
nella notte
ho distillato
la pena

e si sono
schiariti
gli occhi
il sorriso.

Favignana 20 febbraio 1974



TU

Se per un attimo
ripetitivo. Tu.

La problematica
di una vita. Tu.

Ventosa tu,
del settore dell’anima

(e i cari occhi
spaziano tutt’intorno
al cristallo
e…)

Snodare la pena
e costruire approdi

in una visione
di notti sole,
autonoma, tu

che incalzi l’alito
per il filo conduttore
dell’esistenza. Tu.

Tu a muovere ingranaggi
su binari fissi

(per l’ultima notte
tu
e il “Che fare?”)

Se per un attimo
ripetitivo. Tu.

Favignana 30 ottobre 1976



IL DONO

E poi
è il volto che cade,
disincantato, 
e ogni cellula
vorrebbe dimenticare
la pacatezza
le tensioni vissute
momento dopo momento
e ancora, ancora…

Ci sono graffi
ci sono scie
che attraversano
tutto il firmamento
e le architravi.

Oggi
l’arrovello dei ricordi
scombussola
ogni angolo acuto
e l’armonia si riduce
alle solite sette note.
Manca il fruscio del vento
e di quei baci
che lasciarono soltanto
un’impronta sul vetro.

Gli stimoli squassano le forze
residue e si vorrebbe tornare
ai tristi vent’anni
che
erano inadeguati
ad attutire i sensi
e gli amorazzi giovanili:
bloccati
nelle paure,
nelle insicurezze.
Tutte le insicurezze
degli anni ’50,
quando,
la rivoluzione tardava
e bisognava
agitare ugualmente
un cencio rosso,
esaurire la rabbia.

Eccomi qui, nelle prigioni…
dove, pure,
qualche varco c’è stato:
la morbidezza della pelle
il bagnato cavernoso
gli impulsi
e le esplosioni rubate.

La preghiera, no.

Struggente ogni saluto
poi
l’attesa del ritorno
coi doni
e nei doni
ogni speranza residua.

E gli anni passarono
questo è il 18°, ritmato
due volte al giorno
dal suono dei ferri.

A volte dall’inferriata
vedo il mare.
Più spesso: un muro.
E guardi e guardi. Guardo…

Ma con gli anni
tutto si appanna
e adesso
c’è confusione
tra cielo e mare.

Resta nel mezzo
la mia vita
e quel ginocchio tenero
più volte accarezzato.

L’ultima volta che ti vidi
ci fu una miscela di stelle
e l’aria tutta
era innevata
nei paesi nordici.
Qui
tutto fioriva, fiorisce.

Nelle pieghe il tempo
cadenza il suono
scorre tra le mani
scivola via 
lasciando impronte
qua è là
e la tenerezza 
del ventre tuo.

Sono le quattro pomeridiane:
piove, piove, piove…

Domani non lavarti il viso
non truccarti amore mio
quando suonerai ancora,
a chiedere di me,
alla porta della prigione.

Palmi febbraio 1985



IO

(OMAGGIO A MAX STIRNER)


Io
A grande
Maggioranza
Mi sono 
Eletto
Senza discussioni
Senza mediazioni
Mi
Sono eletto
Io
E basta
Nel Parlamento
Dell’umanità
Io
Ho deciso
La mia Vita.

San Vittore 14 aprile 1970



VIVERE

Venne il tempo della tragedia.
Deciso, sterzai a sinistra.

Niente.

La vita mi prese a tradimento.
È destino viverla fino in fondo?

Ahi! spezzate i cristalli 
del cielo. Voglio annaspare.
Voglio vedere se splende
sempre bella la luna.

Volterra 21 dicembre 1970



AD UN COMPAGNO POETA IN CRISI

È facile scompaginare 
i giorni
come i fanciulli 
fanno con la sabbia,
là, sul mare.
Ci restano poi
le litanie rissose
e la consapevolezza,
ch’è insufficiente l’urlo,
per noi che abbiamo visto
acciottolata la luna,
sospesa,
contro la curva 
breve del cielo.

Oggi siamo qui
angosciati a chiederci
che senso hanno poeti
così intruppati,
allineati. Coperti…

Palmi 21 dicembre 1981



COMUNISMO

Frantumato il tempo,
accigliato, sotto il peso
di strutture vergognose.

La poesia ha spazi
ristretti
in questo nostro tempo
e, la sola,
nasce fiera soltanto
dalle officine e dalle prigioni.

È l’inno all’amore di sempre:
per l’uomo sfruttato
                inchiodato
                calpestato
che
finalmente
dall’officina e dalla prigione,
alza l’arma e la fronte.

Diceva un amato compagno,
nel carcere di Cuneo:
vivo il comunismo nel vedere
la borghesia
preoccupata per i suoi interessi,
tremante per la sua pelle.

Questo pensiero me lo accarezzo,
me lo coccolo, in una sera
dell’estate lunga meridionale,
chiuso in una cella 
della prigione speciale di Trani.

Trani 16 settembre 1982



LA FASE

Elusi i problemi stategici
restano da fissare 
le cose spicciole:

(E voltano le spalle
alla maestosità dei venti)

La larga distesa marina.

Poi, più tardi,
nello stretto della cella,
la riflessione
sulla perseveranza umana,
con le membra
che si rifiutano
di staccarsi dagli sterpi,
dai rottami del bagnasciuga.

La grata di ferro
non ripara dai Cento Neri,
né dallo scirocco.

Dalla prigione, irremovibili,
scrutiamo la deriva,
alla ricerca di appigli sacri
alla memoria: la nostra storia.

Palmi 6 maggio 1983



LA NOSTALGIA E LA MEMORIA

Talvolta
vorrei ripercorrere
le strade del mio quartiere.
E ritrovare vorrei
quella generazione
che si formò
sul testamento 
di Julius Fucik,
colui che sotto la forca
scrisse a noi, per noi.
La generazione 
che compatta correva
da Papà Cervi, a consolarlo, 
                      a consolarsi.

Quella generazione
che, disarmata,
raccolse la bandiera
della Resistenza
prima che la borghesia 
l’agitasse, oscena…
Vorrei ritrovarmi
con gli operai perseguitati
da Scelba e da Valletta,
quelli dell’officina Stella Rossa,
i licenziati che seppero tenere,
e ricordare qui vorrei,
gli anni ’50.
Tutti. Uno per uno.
Giorno dopo giorno.
Ricordare gli affanni
Ricordare la fame
Ricordare il freddo,
il carbone
comprato a 5 chili per volta,
e il baracchino
con la pasta scotta
e null’altro.

Poi gli scontri:
luglio ’60
e gli struggenti ragazzotti 
di Piazza Statuto,
col selciato tra le mani.
Ripercorrere vorrei
tutta via Cuneo,
attraversare la Stura, la Dora
e tutto il quartiere mio.

Guardare vorrei
per una volta ancora
la vecchia casa
col cesso sul ballatoio,
ritrovare per un momento solo
i vent’anni miei,
colui che per primo
mi chiamò terrone
e m’insegnò poi
che fare il crumiro
era il crimine più grande.

In ultimo vorrei chinarmi
assorto
sull’elenco angoscioso
di che non c’è più
e nascondermi vorrei
in via Chiusella
la più brutta delle strade
del quartiere mio.

Ricordare anche l’addio,
violento, feroce. L’ira…

Ma pure 
ritrovare le radici
in questo quartiere,
piatto come l’anima,
vasto come orgoglio,
amato e vissuto
da quella generazione,
             la più infelice
             la più dura
             la più cara.

Cuneo 28 agosto 1985