
Roma – AA. VV. – Odradek – 2001
(“libro aperto” a favore di Emergency con contributi di autori vari -scrittori, fotografi, pittori, disegnatori, bambini- contiene 28 poesie di Sante Notarnicola)
ARCOBALENO
A questo punto è necessario
indispensabile far cessare
i soliloqui aggressivi
le certezze ottuse
gli scetticismi e i momenti morti.
Bisogna dare spazio alla calma
e
senza barare
stendersi nudi sulla terra
e smetterla di scommettere
sulla tenuta
di un sacchetto di plastica.
Concentrarsi bisogna sui movimenti degli astri
sui meccanismi della distillazione
e contare altre stelle
e ricordare altri cieli
e raccontare altre storie
fino a quando
poi
l’arcobaleno torna ad inchiodarci
come da ragazzi: incantati.
p. 47
MAGGIO
Succede che di maggio
i confini delle colline
restano nel vago
e furono quelli i giorni
in cui ci trovammo
ad osservare il grano immaturo
C’erano già i primi papaveri,
e i moscerini…
La rugiada, e quel filo di vento
sul tuo corpo…
Come quella volta che,
nel chiuso dell’inverno,
ti chiesi tutto il possibile.
E tu: ritta,
afferrata alla sponda del letto,
svelasti ogni mistero. Ricordi?
Su questo campo torniamo
e ti pieghi sul fianco
e osservo tutte le pieghe dell’universo
e il grano, che resta tutt’ora immaturo
Succede che di maggio
i profili delle colline
restano nel vago…
p. 58
Mutenye
Quando ormai
la sala del Mutenye
era del tutto sgombra
e, solo all’ingresso, c’era
chi consumava ancora birra
– l’ultima, avevo deciso,
tenendo d’occhio
orario e stanchezza –
lei entrò e chiese
un bicchiere di rosso.
L’ottenne, per via di quella
disperazione lunga, che non
le riusciva di fermare…
p. 63
LA SCULTRICE
Entrò al Mutenye
ch’era già tarda notte,
occhi grandi,
sorriso smisurato.
Mentre accavallava
le gambe nude
sullo sgabello più alto
disse che scolpiva
con materiali poveri,
raccattati…
lo slippino era minimo,
immacolato, e chiese
un vino rosso, rosso…
p. 64
UNA STAGIONE FELICE
Solo sul tardi afferrai
quel momento di calma
quando un nulla bastò
a sciogliere tutti quei nodi.
Era il tempo della fioritura
con le zinnie, le dalie e viole.
Nei boschi: il ciclamino.
Ridevo delle ombre passate,
le raccontavo, le spiegavo
fino a quando tu
reclinavi il capo, e cercavi
calore nel palmo della mano.
Chiudevi gli occhi, ti aprivi
e ti frugavo (e mordevi
le carni mie per frenare il grido, ricordo …)
e se tornava quel momento,
quando: individuato il punto preciso
da dove nasceva quel dolore,
e mi pareva possibile tornare solo,
e urlare tutta la notte,
tu lo cacciavi via affondando
il viso nei capelli miei.
p. 69
CAHIER DES DOLÉANCES
Ma è lineare, naturale
il percorso dato al tempo? Pare.
Ma poi quel malessere,
pur consunto dagli anni,
si rinnova, come allora
disorienta viverlo, fingere,
o considerarlo parte del passato.
Pena e tempo
sono creature del cervello.
Devastano e tormentano,
e a nulla vale arrabattarsi
quando il conto
è ancora tutto da pagare.
p. 71
OTTOBRE
Qualche nuvola porta scompiglio
e dà scacco matto alla notte,
questa notte che s’ingarbuglia
nel gioco degli astri, e disorienta
la perfezione del creato.
In tanta confusione,
spezzato il dialogo, resta netta
soltanto un’immagine:
quella del seno tuo disteso
che non conosce innocenza.
p.75
L’ALBA
Non so dove nasce
questo sconforto:
se dall’argine del fiume
o dalle sue malinconie,
dopo le nebbie e le rinunce
resta l’unghia che solletica
ed insieme lacera la pelle.
Ricordo la sabbia e l’oblio,
la terra inzaccherata, i frutteti e i canneti
ed ogni altro tipo di bisogno:
come le necessità dell’albero
e della notte, io ricordo.
Come ricordo le nenie
e le ninne-nanne negate,
il dolore dato
e la trasgressione ultima.
Questi i pensieri quando, all’alba,
lascio la tua stanza,
confortato dal maglione prestato,
e dal ricordo dei seni ritti-ritti,
dallo sguardo torbido,
e da questo nuovo giorno
che possiede ormai bordi più netti.
p. 82
(SENZA TITOLO)
Quella notte al Mutenye,
mezza sbronza, si sfogò:
“Pareva fosse questa
la mia grande storia…
certo sono sbandata, distratta,
lascio ovunque qualcosa.
Chiavi, rossetto, zainetto.
Stamani sono rientrata
all’alba e, da qualche parte,
devo aver dimenticato gli slippini…”
p. 83