a cura di Pino Cacucci, disegni Stefania Venturini, Palermo – Edizioni della Battaglia / Junk books – 1997
(Oltre al racconto dell’uscita dal carcere dopo 20 anni 8 mesi e 1 giorno, figurano le prime poesie scritte fuori del carcere)
Mi sono svegliato verso le 6:00. Il cielo lattaginoso, pesante: afa e umidità.
Ho dormito col braccio sotto il cuscino e mi duole il polso. Un dolore che si ripete, e ogni volta mi torna alla mente il direttore del carcere di Volterra, 20 anni fa: “Lei ha troppi legami esterni, ne fanno quasi un intoccabile. Ma io saprò piegarla, la farò trasferire all’isola di Favignana, dove le celle sono sotto il livello del mare. In breve, due-tre anni, lei sarà gonfio di umidità e di dolori”. Ci volle un po’ più di tempo per i reuma.
Preparo la napoletana e, intanto che scende il caffè, mi sbarbo. Ho difficoltà con il polso destro, massaggio piano.
Il guardiano si affaccia allo spioncino, mi vede in piedi e tira dritto. Ci va ancora un’ora prima che i carabinieri vengono a prendermi. Arrotolo uno spinello. Non sopporto le sigarette già confezionate; specie quelle col filtro: mi fanno tossire. Da un anno sono passato al tabacco forte.
…
Il caffè è sceso. Con la napoletana non è granché. Non mi ci abituo, e poi bisogna aspettare quasi due spinelli prima che sia pronta. La moka la proibirono nelle sezioni speciali dopo la rivolta di Trani. Per uso improprio. Piene di tritolo diedero tutt’altro caffè. Sono passati sei anni e non ce le restituiscono. Hanno memoria storica, loro.
Sono pronto. Non mi resta che attendere. Il taccuino e sullo sgabello con i versi scritti ieri sera. Sono della serie: La Grande Svolta.
“Cosa intendi per Grande Svolta?” ha chiesto ieri Tonino. “Ognuno ne vive una”, ho risposto vago. “E questa la sento più grande”.
Con la Grande Svolta
venne la restaurazione
e furono necessarie
le pietre e gli acciai.
Smarrimmo alla svelta
gli scopi e non fu possibile
vivere sopra le righe.
In un angolo
una donna tutt’oggi aspetta.
Una lacrima lunga
scivola via.
Troppo lunga da asciugare.
…
Ore 8:00. Il guardiano apre la cella. Al piano terra, la solita scorta di carabinieri, sproporzionata da quando Renato li ha beffati, fuggendo dall’oblò della nave.
Scendendo le scale Tonino mi ha urlato un augurio. È il compagno più interessato alla mia giornata. Poi toccherà a lui aprirsi uno spiraglio.
Il furgone blindato. Un’ora di strada per Torino. Su 8 carabinieri 4 hanno lo stesso giornale: “Tuttosport”. Neppure un intellettuale per questa traduzione. Nel blindato due minuscole gabbie, chiuse da una grata fitta. Ma qualcosa si vede della strada. Alcuni prigionieri vomitano verso il 5° chilometro. Sono solo e non avrò da consolare nessuno, né calzoni da pulirmi dagli avanzi della cena del giorno prima.
Ecco Torino: pezzetti del Valentino… brandelli di Corso Vittorio… Via Roma… tumulti e tenerezze.
Sono passati 20 anni 8 mesi e 1 giorno.
Osservo ogni angolo, osservo ogni strada, osservo, osservo, osservo.
Tutto invecchiato: di 20 anni 8 mesi e un giorno.
Le auto. Ecco come misurare il tempo passato. Non conosco neppure un modello. Sembrano tutte uguali, come i cinesi. Mi illumino, ho intravisto una vecchia 500 bianca.
Attraversando Torino, dal mio posto di osservazione, non ho colto una sola persona che sorridesse. Hanno vestiti comodi, pratici: casual. Ma non sorridono. Bisognerebbe sostare davanti ad una scuola, osservare i ragazzi intruppati, per cogliere tanti sorrisi. Vestire casual ed essere tristi è una contraddizione. Del resto anche noi in prigione non si ride più da un sacco di tempo. La sconfitta non ti fa scoppiare dalle risate.
Via San Domenico: il Tribunale. Da queste parti si veste sul classico. Una rampa di scale e carabinieri, carabinieri. Poi una gabbia. Dentro ne trovo altri come me: “Ciao, ciao. Da dove vieni?”.”Ivrea. E tu?”. “Cuneo”. “Affidamento sociale?”.”No, semilibertà”.”Mi mancano tre mesi, ne ho scontati sei ed è la terza volta che vengo. Tu? Faccio un gesto vago.
Rumori di catene, sedie spostate, avvocati, segretarie bellocce…
L’avv. Guidetti Serra mi vede. Veste un completo rosso e ricevo il primo sorriso del giorno, misurato, ma è un sorriso.
“Mi riconosce? Ho tutti i capelli bianchi”.
“Che dice, non è cambiato”.
Perdono la bugia. Lei si piega sulle carte.
“Potrei uscire di prigione, ma non è obbligatorio. Devo tutelare identità e dignità”.
Dico frettolosamente. Estraniato penso:
Non ho nulla da vendere. ci ho messo 50 anni a diventare comunista.
E 20 anni 8 mesi e 1 giorno di prigione.
E 11 anni di carcere di massima sicurezza. E
5 anni di celle punitive. E la posta censurata.
E i vetri divisori ai colloqui […] E le cariche
dei carabinieri nei corridoi delle prigioni. E
il sangue nelle celle. E il sangue dal naso. E il
sangue dalla bocca. E i denti rotti. E la fame
all’Asinara. E il silenzio obbligatorio al bunker
della Centrale, a cala d’Oliva. E i racconti
dei torturati. E i colpi contro la porta per non
farti dormire. E i colloqui respinti senza un
motivo. E la posta sottratta. E il linciaggio del
vicino di cella. E il vivere col cuore in gola.
E la pressione che sale. E il cuore che senti
ingrossare. E il compagno che se ne va con la
testa. E le divisioni a 5 nei cortili. E le rotture
politiche. E le divisioni che teoricamente dovevano rafforzarci.
E il dilagare del soggettivismo. E i vetri infranti ai colloqui.
E le rivendicazioni coi pugni chiusi. E la ritirata strategica.
E gli scioperi della fame condannati. E i sorrisi spariti.
E i soggettivisti sconfitti. E gli odi tra compagni.
E le demolizioni personali.
E la disgregazione umana. E le perquisizioni
anali. E le sei diottrie perse. E l’assalto coi cani
nelle celle. E i compagni colpiti da schizofrenia. E i primi tradimenti. E la massa di dissociati. E l’isolamento politico. E la piorrea che
avanza. E gli anni che passano e i giorni che
conti. E i silenzi, i silenzi, i silenzi.
“Questo, tutto questo ho pagato. Questo e altro ancora ho da difendere”.
“Capisco” dice la Guidetti Serra.
UNA LACRIMA
Con la Grande Svolta
venne la restaurazione
e furono necessarie
le pietre e gli acciai.
Smarrimmo alla svelta
gli scopi e non fu possibile
vivere sopra le righe.
In un angolo
una donna a tutt’oggi aspetta.
Una lacrima lunga
scivola via.
Troppo lunga da asciugare“.
CONSUMMATUM EST
a Primo Levi
È stato freddo e feroce
l’inizio di questo aprile
deturpato dai silenzi
che
scuotono-inseguono
e ci riportano
i ricordi originali
quando: leggendo il possibile,
tutti quanti ci schierammo.
Auschwitz, la fine dell’infanzia:
un’ombra lunga sui giochi
interrotti e mai più ripetuti.
Ma rimane il ricordo
del gallo di metallo: trafitto
dalla banderuola di latta
che vibrava al soffio del vento,
e
questo aprile così duro
ha il colore dello sterrato,
tarda a passare e ci costringe
spalle al muro al silenzio,
perché tutto possa consumarsi.
(Aprile 1987)